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Pompei, Unioncamere: "Le donne che perdono il lavoro reagiscono facendo impresa"

Le donne? Nel fare impresa sembrano avere una marcia in più e reagire meglio alla crisi. È quanto emerge ancora una volta dai dati di Unioncamere, con una fotografia aggiornata al 30 giugno 2014 che racconta di un’ Italia in rosa che si rimbocca le maniche e che si reinventa continuamente. Spesso, per le donne, è una scelta obbligata, spiega Tiziana Pompei, vice segretario generale di Unioncamere: magari per rientrare nel circuito lavorativo dopo una gravidanza. Quando il lavoro classico non c’è e l’unica via da intraprendere è ripartire da se stesse.

Tiziana Pompei, qual è oggi la fotografia dell’imprenditoria femminile in Italia?
Le imprese femminili che censiamo attraverso un Osservatorio di genere, l’Osservatorio dell’imprenditoria femminile di Unioncamere, sono circa 1milione e 300mila e rappresentano il 21,5% delle imprese: i dati sono aggiornati all’ ultimo monitoraggio del 30 giugno. Il maggior numero di imprese si concentra ancora oggi nelle grandi città e le realtà femminili costituiscono un fenomeno in evoluzione, presente soprattutto al Sud d’Italia dove il tasso di femminilizzazione è superiore al 25%.

Da cosa dipende?
Storicamente è sempre stato così. Fare impresa, a mio avviso, è per le donne sempre più una forma di autoimpiego e il sud resta un territorio nel quale si fa più difficoltà a trovare lavoro. Le donne scelgono quindi spesso di fare impresa come alternativa al lavoro dipendente ma anche come una sorta di risposta obbligata alla difficoltà di trovare un’occupazione.

Quali sono i settori e le specializzazioni dell’imprenditoria femminile in Italia?
Nell’ultima rilevazione di giugno 2014 il 70% delle imprese femminili si concentra esclusivamente in alcuni settori: servizi alla persona, sanità, istruzione, agricoltura, commercio e turismo e intrattenimento. Ci sono settori in cui la presenza femminile è davvero molto significativa, come quello dei servizi alla persona in cui il tasso femminile supera il 46%, o quello della sanità e dell’ assistenza sociale dove si attesta al 38%. L’altro aspetto interessante è che le imprese femminili hanno un ritmo di crescita superiore alla media: +0,73% a fronte dello 0,42% del totale imprenditoriale. Parliamo sempre di una crescita contenuta, certo, specialmente per l’ultimo periodo, ma – nonostante le imprese femminili rappresentino circa un quarto del totale – continuano a crescere di più.

Perché?
Hanno una capacità di resistenza superiore rispetto alle difficoltà e alla crisi. Anche questo è un dato storico: prima di questa lunga congiuntura economica negativa si parlava anche di percentuali di crescita del 2-3% in più rispetto al totale delle imprese. Le realtà femminili sono meno numerose e, in generale, si trovano ancora in fase di consolidamento. Un ruolo importante, poi, ha sicuramente ricoperto una legge specifica, la 215 del 1992, mirata a far crescere l’imprenditorialità femminile. Negli anni c’è stata un’attenzione particolare con politiche di incentivazione per la nascita di nuove imprese. Il fenomeno dell’autoimpiego ha fatto il resto. In molti casi le donne che perdono il lavoro reagiscono facendo impresa. Lo fanno per rientrare nel circuito lavorativo dal quale sono uscite magari per maternità o per la cura della famiglia. Non solo: il profilo dell’imprenditrice è in generale diverso da quello dell’imprenditore. Spesso le donne, quando imparano qualcosa da un’ esperienza di lavoro dipendente, tendono a trasferirla in un’iniziativa imprenditoriale autonoma. (...)

 

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Data di pubblicazione: 06/11/2014 13:09
Data di aggiornamento: 06/11/2014 13:14