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Microcredito, le donne del Congo ce l'hanno fatta

05 March 2013

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Da Il Fatto quotidiano.it del 2 marzo 2013

Settimana scorsa sono stata a visitare alcune delle associazioni di risparmio e credito con cui lavoro in un villaggio a qualche ora da Bukavu (Congo), dove mi trovo io. Strade di fango e buche tanto grandi da sembrare laghi attraverso vallate verdi e lussureggianti mi hanno portata a destinazione, da una ventina di donne che si riuniscono per mettere insieme i loro risparmi e con questi darsi crediti, che poi rimborsano pagando degli interessi che rimangono nel gruppo per un anno. Poi, dopo mesi di lavoro, finalmente si dividono tutto, proporzionalmente ai risparmi di ciascuna.

La loro riunione era già iniziata e, essendo arrivati in ritardo, abbiamo dovuto pagare un’ammenda di 100 Franchi, circa 10 centesimi. L’aria sotto il tetto di lamiera si è fatta rapidamente pesante, le piccole finestre nei muri di fango sono rimaste chiuse perché gli occhi indiscreti non vedessero i loro soldi, esponendole a grandi rischi. Una donna si è messa a preparare da mangiare poco lontano dall’ingresso, riempiendo la casa di fumo. Io boccheggiavo, mentre un bambino di poco meno di un anno si arrampicava su di me, per nulla intimorito (come invece di solito accade) dalla mia pelle bianca e i miei capelli così “lisci”.

Come faccio da mesi, anni, ho cercato di capire un po’ di più della vita di queste donne, pur sapendo che non è mai facile capire la vita altrui. Non è facile capire quella di persone che mi sono molto più simili, figuriamoci quella di queste donne nate e vissute in un universo tanto lontano dal mio. Eppure continuo a provarci, spinta da una curiosità che so non sarà mai del tutto appagata.

Fiere, queste donne dall’età indefinita, rugose come maschere tristi, magre come acciughe o floride come dee di una terra generosa, mi hanno detto di aver imparato a risparmiare, e che non ci avrebbero mai creduto.

Per una donna che non ha mai avuto nulla o quasi, mettere da parte uno, due euro alla settimana è un traguardo del tutto inatteso. Non è che siano diventate più ricche, che sia chiaro; la loro vita continua ad aggirarsi attorno ai bisogni urgenti della sopravvivenza. Semplicemente, hanno capito che mettere da parte 20 centesimi al giorno, quando si può, può fare la differenza. Mi hanno spiegato che, tenendoli in casa, quei soldi li avrebbero spesi tutti per rispondere a ognuno dei piccoli bisogni quotidiani di una famiglia povera, o per comprare una canna da zucchero, o una frittella. Qui, settimana dopo settimana, hanno invece visto i loro risparmi crescere, quasi incredule pensando che fossero unicamente frutto del loro lavoro. Tra qualche mese, quando dopo un anno di lavoro si divideranno tutto quello che hanno, riceveranno indietro una grande somma, che potrà aiutarle a cercare soluzioni di più lunga durata. E loro, semplicemente, non ci avevano mai provato, pensato, non avrebbero mai creduto di potercela fare.

Mi sono ricordata della prima volta che ho visto una di queste associazioni dividere i propri risparmi.

Per dieci, lunghi mesi una donna aveva risparmiato l’equivalente di circa 30 euro. Per un anno aveva avuto accesso a piccoli crediti, che le avevano permesso di comprare cassava al grande mercato provinciale e rivenderla al mercato del suo villaggio. Con il beneficio ricavato aveva rimborsato il gruppo pagando gli interessi, comprato da mangiare e mandato i figli a scuola. Mi aveva raccontato, fiera, che certe volte era addirittura riuscita a comprare della carne e che a casa non mangiavano più per giorni la stessa cosa.

Mi ricordo che, allora come oggi, nella stanza dove eravamo riuniti non circolava un filo d’aria e la riunione sembrava non finire mai. Nella cassa del gruppo c’erano circa 1.000 euro da contare in Franchi Congolesi, di cui la banconota più grande valeva al tempo 40 centesimi. Le contabili del gruppo avevano fatto degli errori e la procedura era stata ripresa più volte. Ero esausta e la mancanza d’ossigeno mi rendeva sonnolenta. Poi, a un certo punto, tutti i calcoli finalmente sembravano tornare e la segretaria del gruppo ha annunciato che ogni membro dell’associazione avrebbe ricevuto i suoi risparmi più degli interessi del 43%. Mi ricordo il boato di applausi; poi il silenzio, l’attesa. Quando ciascuno ha ricevuto i suoi soldi, si sono messe a contarli. Non tutte sapevano farlo, ma si sono aiutate a vicenda. Quando si sono rese conto che tutto andava bene, è esplosa la danza, frenetica e incontrollabile, nonostante la segretezza che dovrebbe circondare le loro attività. Dicevano di essere troppo felici per non farlo sapere al resto del villaggio.

Mi hanno accompagnata fino alla strada principale ballando, ululando, battendo piedi e mani, in una sorta di convulsa e eccitata esultanza. La donna che aveva risparmiato 30 euro mi si è avvicinata con gli occhi lucidi e un sorriso splendido, accompaganata da un’amica a cui ha chiesto di tradurre per lei. Mi ha detto che non aveva mai visto tanti soldi, che non avrebbe mai pensato di poterli possedere.

So bene che quella donna, come tutte la altre, è tornata a casa quella sera e ha consegnato tutti i risparmi di un lungo anno a suo marito. So che certi mariti hanno discusso con loro come investirli, altri, probabilmente la maggior parte, non lo hanno fatto. In molti hanno investito in una capra, una macchina da cucire, attrezzi per coltivare.

Quasi tutte le donne mi hanno raccontato di sentirsi più importanti, ora che possono contribuire all’economia familiare, e che tutti, i loro mariti, i loro figli, gli altri membri della comunità, le guardano in modo diverso, come donne “di valore”. Perché producono, mi sono detta in un primo momento, incerta se una cosa del genera andasse davvero considerata come un successo. Ma loro, le donne, sono felici di questo cambiamento e dopo molte riflessioni anche io mi sono detta che forse da noi le chiameremmo “donne realizzate”. Comunque sia è così che loro si sentono, e per me, al di là di tutto, questa è la cosa più importante.