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La rete italiana dei Comitati per l’imprenditoria femminile

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'Perché riprendere il filo dell'imprenditoria femminile'

L'articolo di Gian Paolo Manzella, Sottosegretario allo Sviluppo economico, uscito il 7 dicembre 2020 su www.huffingtonpost.it:

Su cento imprese italiane solo ventidue sono a guida femminile. È troppo poco.

Dietro questo dato, c’è, infatti, una mancata crescita della nostra economia. Ma non solo. C’è, anche un profilo qualitativo, altrettanto importante. Perché le analisi ci dicono che le imprese femminili hanno una crescita più allineata alle parole del tempo: più inclusiva, più sostenibile, più attenta agli stakeholders del territorio.

E se i nostri dati evidenziano il maggiore squilibrio tra imprese a guida maschile e femminile, non è, sia chiaro, questione solo italiana. Nel 2019 l’OCSE includeva le donne tra i Missing entrepreneurs, nello stesso anno nel Rose report britannico dedicato alla promozione dell’imprenditoria femminile si scriveva di untapped potential e se ne calcolava il valore in 250 miliardi di sterline. Ma sono solo alcuni esempi di quella che è, oramai, una valutazione unanime: è un assenza che pesa.

Tanto più quando il NextGenerationEU indica nella crescita sostenibile e inclusiva la stella polare della trasformazione delle nostre economie. E quando si delinea il rischio di un ‘avvitamento’ della situazione, se le imprese che crescono di più sono quelle innovative, dove ancora più scarsa è la presenza di donne.

Questo contesto spiega la scelta di riprendere in mano un intervento che affronti gli ostacoli davanti alle donne che decidono di fare impresa: un accesso al credito più difficile, un network di relazioni più debole e, soprattutto, un clima culturale che non spinge in questa direzione. Ancora troppe poche donne – in Italia e non solo - vedono nell’impresa una possibilità di sviluppo e di realizzazione, ancora troppo poche studiano nelle facoltà scientifiche dove ci si prepara a molti dei lavori più innovativi del futuro.

Come spesso accade sono i problemi a dare le indicazioni sul lavoro da fare: agire sulle risorse, sull’assistenza per accompagnare le attività imprenditoriali e, insieme, sulla dimensione culturale.  E sono queste le linee della proposta contenuta all’art. 17 della legge di bilancio in discussione che, dopo anni, riporta all’attenzione del decisore pubblico la questione dell’imprenditoria femminile. Per anni, appunto, rimasta in secondo piano: con la legge n. 215 del 1992 progressivamente non rifinanziata e nei fatti abbandonata, spettacolo non infrequente in un Paese in cui non si fa monitoraggio delle leggi e non se ne verifica l’effettiva attuazione; con la ‘scorciatoia’ di affidarsi a forme di ‘premialità’ a favore di imprese guidate da donne negli interventi di finanziamento ordinari che non ha dato gli esiti sperati.

La scelta di attualizzare quell’intervento e adattarlo a un tempo molto diverso dall’inizio degli anni Novanta significa intervenire su alcuni punti.

Il primo sono le risorse. I 40 milioni previsti in legge di bilancio – ma l’auspicio è che siano aumentati dalle risorse del NextGeneration – potranno essere utilizzati secondo le formule consolidate del contributo e del prestito agevolato e quelle, più innovative dirette a promuovere startup guidate da donne nei settori ad alta tecnologia.

Il secondo punto si lega alla dimensione ‘culturale’. È previsto il supporto a iniziative di diffusione di valori di impresa tra le donne e di assistenza e formazione nella concreta attività imprenditoriale. Secondo modelli di altri Paesi c’è da portare al centro dell’opinione pubblica il valore dell’imprenditoria femminile, da raccontare cosa significa ‘fare impresa’ per una donna, da diffondere tra le nostre ragazze la consapevolezza delle possibilità di lavoro che aprono le facoltà scientifiche, da aiutare in modo concreto chi decide di mettersi su questa strada.

Il terzo aspetto è di metodo: l’azione del livello centrale dovrà indirizzare, stimolare e integrare quella delle Regioni, di altre istituzioni, di attori del mondo dell’impresa e del lavoro, a partire da quei Comitati per l’imprenditoria femminile delle Camere di commercio che sono spesso rimasti soli a tenere l’attenzione su questo tema negli anni.

C’è, infine, da rendere effettiva l’azione di monitoraggio rispetto all’utilizzo di queste risorse, per poterlo valutare e poter cambiare la norma al momento in cui non raggiunge gli obiettivi di promozione che si prefigge.

È una iniziativa che, se ci si ferma a sentirla, è aiutata dall’aria che c’è in Europa e nel mondo. Sia perché sono molte le esperienze a cui guardare - dalla ‘Giornata dell’imprenditoria femminile’ irlandese al lavoro che si fa nei Paesi nordici, sino ai programmi tedeschi per portare le imprenditrici nelle scuole. Sia perché i Paesi che si sono messi con serietà su questa strada hanno ottenuto importanti risultati – è il caso dell’Olanda o del Canada. Sia perché iniziative come quella del ‘Giusto mezzo’ - promossa dall’europarlamentare verde tedesca Alexandra Geese in collaborazione anche con personalità italiane - ci dicono che nel grande ‘cantiere’ del Next Generation ci dovrà essere un ruolo di primo piano per le donne.

È quindi il momento giusto per riprendere il filo dell’imprenditoria femminile, rafforzarlo e portarlo dentro il nostro tessuto d’impresa. Per cambiarlo.

Data di pubblicazione: 07/12/2020 16:23
Data di aggiornamento: 07/12/2020 16:28